Smartworking con “disturbi” di connessione

Lo Smartworking può essere un inferno di solitudine, specie per le persone come me che, a dispetto delle apparenze nella vita ordinaria, sono allo stesso tempo fisico e mentale.

All’epoca del primo lockdown non la conoscevo ancora. “Ho passato un paio di mesi solitari, usando il computer per lavorare, chattare, conoscere”. Ma si sa, virtuale e reale non sempre vanno d’accordo, quando le menti non sono allineate.

In questo nuovo quasi lockdown, nel mio lavoro cambia poco. Messo a casa, smartworking, lunghe sessioni di computer.

Come oggi, sveglio all’alba per tenere una lezione in webinar, in inglese, per gli amici americani con cui la mia azienda lavora.

Pantalone inutilmente elegante, camicia, la pelle ancora quasi calda dal letto lasciato interamente a lei. Niente boxer, una sorta di vezzo e abitudine, che presi a marzo, quando per giocare un po’ con la noia mi sfioravo il glande mentre ero in call e fantasticavo, ovviamente a microfono e camera muti.

Caffè, computer nel soggiorno, caffè e e-cig d’ordinanza per sopravvivere allo stress. Convenevoli uguali a mille altri in cam e via, inizio la lezione.

Il mio inglese prende coraggio dopo una decina di minuti, mi aspettano due ore di lezione frontale: ma cosa avranno da ascoltarmi così a lungo?

Non finisco il pensiero e la vedo scivolare fuori dalla stanza da letto, occhi stropicciati e gambe in mostra, coda di cavallo tenuta da un elastico. Indossa uno slip e una mia camicia, provvidenzialmente semi-aperta sul seno. Appoggia una mano allo stipite della porta, sorride un po’, in silenzio, il culo e l’anca in evidenza, una sfida sognante. Le ho rotto talmente tanto le scatore con questa lezione che mi odierà un po’.

Mi scivola dietro, facendo attenzione a non comparire nell’inquadratura. La sua pelle e il suo odore mi distraggono sempre, ma continuo, non posso interrompermi per così poco, è una lezione importante.

Ma il profumo mi colpisce, come saperla con me, con così poco tessuto addosso. I capezzoli che sfiorano la mia camicia, quasi a farsi largo per uscire. Torna nella stanza, una tazza di tè fumante in mano. Si mette su una sedia poco distante da me, mi guarda fare lezione, si scalda le mani con la tazza, dio quanto mi piacciono le sue mani, sorseggia appena.

Continuo a parlare, sempre in inglese. Ma lei è nel pieno del mio campo visivo.

Prende un post-it, scrive qualcosa, nascondendomelo. Poi me porge sotto agli occhi, tutto sempre invisibile alla cam: “Mi ecciti, Professore”.

Cazzo. Ho appena iniziato una lezione di due ore, parlo io, in inglese, e la cam inquadra il mio mezzo busto. Mi bastano tre, due parole e una virgola per iniziare a eccitarmi. Spero decida di fermarsi qui.

Ma non sarebbe chi è, se si fermasse. Non sarebbe qui.

Nella sedia di fianco alla mia inizia a sfiorarsi la pelle delle cose con le mani aperte. Silenziosa, ma i rumori mi avvolgono la mente. I suoi gemiti, di questa notte. L’ho torturata a lungo, l’ho privata di molti orgasmi, prima di farla esplodere poche ore fa. La sua vendetta inizia ora.

Allarga appena le gambe, mi fa intravedere le linee del suo corpo. Inarcando la schiena scopre i seni dal tessuto della camicia, i capezzoli sono duri. Parlare mi è sempre più difficile, ma siamo solo all’inizio. Fa scivolare un filo di saliva puntandomi gli occhi addosso, dritta sul seno. Con indice e pollice la raccoglie, avvolge un capezzolo, bagnandosi le labbra con la lingua. Ha deciso che devo soffrire.

Stringe e allarga le gambe, in movimenti lentissimi, mentre entrambe le mani iniziano a muovere la carne dei seni, facendo colare un poco di saliva ad ogni movimento. Fare lezione è sempre più complesso, ma proseguo. Una sorta di martire dell’erotismo nascosto.

Scivola con la mano, dal seno verso il monte di Venere, ancora porta gli slip, allarga le cosce a beneficio della coda del mio occhio, infila le dita appena nel tessuto che copre il suo odore sempre più evidente. Il mio uccello inizia a muoversi, involontariamente, e sfrega sul tessuto dei pantaloni. Cresce, per lei.

Si sta sfiorando, lo sento. Lo vedo, appena, mentre continuo a istruire quegli americani ignari di quello che accade a pochi centimetri da me.

La vedo, inarcarsi come quando la penetro con le dita, già fradicia. Sono certo che la situazione la eccita tremendamente, il sapermi impossibilitato a fare qualsiasi cosa, se non continuare la lezione. Si sposta la mutandina di lato, giusto per farmi ammirare la figa calda, già bagnata. I polpastrelli sfiorano la clitoride, e poi scivolano sulle labbra, fino al perineo e risalgono, in un unico, lentissimo, movimento.

Avverto il suo respiro, ma si trattiene, non geme come vorrebbe, come vorrei. Sa che deve rispettare il mio lavoro, vuole solo rendermelo un poco più difficile. Molto difficile, ora.

Ha le dita bagnate, me le mostra. Inizia a leccarle, come farebbe con la mia cappella. Sempre guardandomi. Poi scrive, ancora, su un nuovo post-it. “Voglio il tuo uccello, è duro!”.

Mentre continuo annuisco appena, lei si allarga in un sorriso penetrandosi profondamente con due dita. Sento appena il suono degli umori, il cazzo inizia a non stare più comodo nei pantaloni.

Ma non è ancora soddisfatta. Si alza, sfila gli slip mostrandomi il culo, piegandosi quasi al bordo del quadro della webcam. Si prende le natiche tra le mani, si allarga per me, a mostrarmi quella figa che vorrei in bocca ora, tanto mi attira.
Poi scivola sotto al tavolo, si mette comoda, gambe aperte per me, con gli slip fradici abbandonati sulla sedia.

La lezione prosegue, il mio inglese stenta un po’: il pubblico penserà al solito italiano che non conosce bene la lingua tecnica.

Ma sono i suoi polpastrelli che picchettano sul tessuto dei pantaloni che avvolge il glande. Le sue dita me lo scoprono completamente ancora avvolto dal tessuto, mentre con l’altra mano continua a sfiorarsi labbra e clitoride bagnate.

Mi apre i pantaloni. Cazzo, se continua mi fa sborrare in diretta. E, onestamente, quando godo io urlo. Speriamo abbia un briciolo di pietà.

Dà un piccolo colpo di tosse, giusto per farmi scattare sull’attenti mentre mi libera il cazzo dai pantaloni e li fa calare a terra, me li toglie.

Una carezza e un piccolo massaggio ai piedi, mentre sorride con il viso a pochi centimetri dal mio uccello completamente eretto. Si bagna le dita tra le cosce, e inizia a bagnarmi il glande dei suoi umori.

Continuare con la lezione è difficilissimo. Soprattutto perché sta continuando a spostare liquidi dalla sua figa al mio cazzo, e il solo pensiero quasi mi fa godere.

La punta della lingua scivola sul frenulo ora, in un movimento unico fino ad arrivare alla base del pene, ai miei testicoli così sensibili, e poi risale lungo tutta l’asta e arriva ad avvolgermi la cappella infuocata con le labbra. La lingua continua a massacrarmi lenta e dolce, ma il movimento continuo fa espandere piacere, voglia e desiderio in tutto il mio corpo.

Lo sa, lo sente, la eccita. Tremendamente. Continua a toccarsi, così lenta che so non vuole venire. Vuole semplicemente farmi impazzire e ci sta riuscendo perfettamente.

Ormai non so più come faccio a proseguire. Ma trovo forze ed energie, l’inglese barcolla, la voce si rompe appena. Daranno la colpa all’orario. E mentre cerco di distrarmi, non so bene da dove lei fa spunta il Lush, il vibratore ovetto comandato a distanza con cui l’ho torturata legata al letto qualcosa ora prima, mentre mi prendevo la sua bocca tra gli orgasmi ripetuti.

Si sfila l’elastico dai capelli, e cazzo, so cosa vuole fare. Stringe il Lush al mio cazzo con l’elastico, facendo aderire perfettamente il silicone al perineo, bagnando il contatto con la sua lingua. Fuck, mi farà morire.

Accertatasi che il mio cazzo duro, l’elastico e l’ovetto siano in buona posizione per farmi morire, si rialza, prende il telefono, collega il giocattolo con il wi-fi. Si siete di fianco a me.

E inizia.

Cazzo.

Lo fa vibrare, accelera, rallenta, rallenta, accelera. Poi lo lascia alla minima vibrazione e scrive un nuovo post-it: “Quanta voglia hai di venirmi addosso”? Mentre me lo fa vedere apre la bocca, mi mostra la lingua simulando quelle leccate di cappella che mi fanno letteralmente guaire e inarca la schiena per mostarmi il seno lucente di saliva.
Cazzo, la lieve vibrazione sta facendo fremere il mio uccello dai coglioni alla cappella, lo sento quasi riempirsi di sperma mentre arrivo a un punto nodale della mia presentazione. Ormai non so nemmeno più cosa sto dicendo nel webinar.

Torna al telefono, alterna il ritmo, accelerandolo sempre per un tempo superiore, onde di voglia squassano il mio corpo, mentre allunga la mano e mi prende i testicoli nel suo calore, scivolando con le dita sull’asta e mastubandomi mentre alterne le velocità dell’ovetto.

Non capisco letteralmente più nulla, lei lo sa, sorride ancora mentre accelera il movimento della sua mano e lascia l’ovetto vibrare e velocità sostenuta. La mia voce inizia a tremare seriamente, non so quanto potrò continuare, sento la sborra invadermi il corpo.

Gli umori scivolano dalla sua figa sulle gambe, pulsa anche lei, con me, di voglia, di voglia di avermi dentro, ancora e ancora, lo so. Ma devo stare fermo, continuare a parlare, sudo, e lei accelera ancora il Lush fino a portarmi praticamente al confine di un orgasmo.

Poi lo ferma. Mi interrompo per qualche secondo, dal pubblico mi chiedono se va tutto bene.

Un nuovo post-it: “Voglio. La. Tua. Sborra. In. Bocca” e accelera il gioco a fondo scala.

Il mio è quasi un grido: “I’m experiencing some technical difficulties”, e con un movimento veloce della mano chiuso microfono e camera (spero di averlo fatto come si deve) perché mi alzo in piedi, è quello che vuole.

Prende immediatamente il mio cazzo in mano, con le dita piantate nella figa. Gode e grida mentre mi prende in bocca cazzo a Lush, insieme, ed esplodo in almeno 7 rivoli di sborra bollente che le inondano bocca e faccia. Grido forte, lei con me, godiamo insieme delle nostre torture da reclusi, sempre più eccitati dalle nostre fantasie realizzate.

Raccolgo i suoi umori con le dita, li bevo facendomi guardare. Lei asciuga la mia cappella con la lingua, dopo aver rimosso e abbandonato il Lush con cui mi ha fatto morire.

Lascio il cazzo nudo, pulsa ancora, mentre riprendo la lezione. “I’m sorry, some problems with the internet connection”. Una goccia di sperma cade a terra.

Lei è raggiante, io svuotato. Scrive ancora: “Però è carina la tua allieva americana in basso a destra, Professore”. Mi tocca l’uccello quasi a salutarmi, va a farsi una doccia mentre la lezione si avvia alle conclusioni.

Mi piace pensarla di là, a godersi la coda dell’orgasmo. Appena possibile, la raggiungo.

Autore: Single80fe (nickname utilizzato sul sito www.Iol.im)

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